domenica 8 luglio 2007

A tavola

Deve essere sorto in me all’epoca del primo corso di storia del cristianesimo allorquando tenevo la mente sveglia visualizzando fantasiosamente, e nemmeno di molto lungi dalla realtà, quel che la buonanima del professore spiegava. Del resto eravamo soli, io e la sorora panzuta, nella piccola aula, e non soccombere alla stanchezza di due ore filate, l’era impresa mica da poco. Un po’ come Alex bello in Arancia Meccanica, cominciai ad immaginarmi compagno di tavola di Martino Lutero, intento agli intingoli, al beveraggio e alle poppe di Caterina: il frà magnava a quattro palmenti e noi si aspettava l’effetto del vino per udirlo predicare. Questi particolari, della taciturnità di Martino e della successiva loquacità sua ebbra, mi si inchiodarono al cervello come le natiche di Zara. Aggiungiamoci che a quel tempo noi bighelloni si mangiava spesso insieme e, collo stomaco pieno, si berciava molto cinebrivido. Quindi, vuoi i discorsi a tavola del Lutero, vuoi i nostri berci al desco, vuoi il Convivio del Durante, vuoi una centomila o no?, vuoi quel che vuoi… partorii la teoria del compagno di tavola: cari i miei otto lettori, in definitiva mi chiesi: è possibile misurare il gradimento verso una persona, viva o morta, chiedendosi solamente: -ma ci mangerei insieme volentieri o no?- e –quanto volentieri- ?

Parliamo un secondo dei piaceri della vita: il sesso, ammesse le orge, che il misero tapino vide, e vede solo sul video, l’è roba a due e mica dura tanto, e poi ci sarebbe il discorso onanistico; la cacca, eminentemente piacere solitario, riflessivo, introspettiva seduta del gaudente, con strombettamenti e morbidi effluvi; solamente il cibo è condivisibile, piacere anche di gruppo, con conti sodali e buoni. Ma qui casca il fratello somaro: o qual tortura peggiore v’è del mangiare con individui molesti, non graditi, tritacazzi e spaccacoglioni? Subentra la fretta, la difficoltà digestiva, la facoltà gustativa azzerata, la disattenzione, finanche il vomito; e i discorsi di convenienza, la paura di sporcarsi e non pulirsi rattamente, il filo verde tra i dentoni, il rutto (non nel caso del vostro qui presente) soffocato all’altare di madonna Ipocrisia. Ma quando invece si magna tra amici, sodali, compagni di merende, paisà, lurchi nell’animo, e liberi di berciare e usar mani e vocaboli come fabbri ferrai! E volar d’opinione in opinione, di racconto in fabula, di teoria in fresconata, siccome li voli del grande Pindaro. Tutto il cibo si spezia e si gusta e si digerisce meglio, si trogola giù che l’è ‘n piasèr! Quindi, lettore amato, piglia o chi tu vuoi, che la sia persona reale, viva, tizio storico positivo ovvero presunto negativo, e chiediti: ci mangerei assieme volentieri o no? E se sì, ma quanto volentieri? Così per far graduatoria con scudetto e retrocessioni. Vedrai quante scoperte che tu fai. Dico: l’infame Ipocrisia male s’accoppia con la tavola. A letto, nei fienili, membro in mano o penetrato, in chiesa, nei municipi, al lavoro, a scuola… si può essere, purtroppo spesso si deve essere, ipocriti: ma a tavola, qual differenza tra la conviviale libertà e gusto, e la forzata sopportazione della contingenza! Buon appetito cari drughi o soma che voi siate.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Bella l'immagine del linguaggio da fabbro ferraio usato in un piacevole pasto. Devo dire che sicuramente il mangiare volentieri con qualcuno è indice di gradimento di quel qualcuno. Ma in fondo, non è questa storia di tutti i giorni che possiamo trarre da tante altre situazioni? Ogni cosa fatta con persone gradite ha un miglior sapore. Pensiamo all'avere un buon collega di lavoro, un piacevole compare di bevuta, un simpatico compagno di viaggio, e tanti altri esempi si possono trovare. Nel nostro vagare solitario credo che la maggiorparte di noi desideri la piacevole compagnia di qualcuno gradito. Ben venga allora un pasto con affabili commensali. Ma io che faccio per giungere a ciò?

Anonimo ha detto...

E’ evidente che a te , la vita quella fetida non ti ha mai toccato, fratellino mio.
Tu lo sai nel mondo quanta gente c’è che a pranzo metterebbe al primo posto nella graduatoria il direttore, l’aministratore delegato, il capo, l’uomo che conta?
Tanti, cherubino, tanti. Non hai idea delle alleanze, delle strategie, delle decisioni fatte VOLENTIERI. L’iposcrisa è un cattivo commensale? Ma per chi? Per me, per te, per i tuoi sodali. Ma nel mondo, colombella, le cose girano in un altro modo. Eh sì.
La ‘differenza tra la conviviale libertà e gusto, e la forzata sopportazione della contingenza’ è roba per palati fino, omino mio in cerca d’uscita. Non tutti percepiscono le sfumature. Per la maggior parte della gente che conosco l’ipocrisia fa da digestivo. Altro che cibo sullo stomaco se il capo è a pranzo con qualcun altro!
E infatti io ultimamente mangio da sola.
Ma anche qui… hai mai provato a mangiare davanti ad uno specchio? Io sì. Sembra lo facciano apposta a mettere specchi ovunque nei bar. Per me è un’esperienza orribile. E’ mostruoso guardare sé stessi masticare. Io con una così non starei a pranzo nemmeno per un minuto