giovedì 19 luglio 2007

Estate o del Tapino

L’asfalto ribolliva davvero, signori miei! Altro che palle da cine americano: seduto all’ombra della pompa sputa benza, guardavo l’autostrada sudare rigata in continuazione dalle gomme delle carrozze in corsa. Colava anche lungo la mia fronte, l’intruglio salato e la bottiglietta nella ritta non prometteva alcun refrigerio per le viscere. Fottutissimi camion sferragliavano strombazzandosi tra loro come bambocci giganteschi, mi figuravo nerboruti panzoni villosi, unti di strutto e locchianti le poppe d’una barbellona a stelle e strisce. Pà stava finendo di rimpinguare la station, mà cercava un’albicocca a testa: il carrello attaccato dietro tirava un sospiro gonfiando il telone marrone. E vaffanculo se si era partiti sotto un acquazzone che manco Noè aveva visto: incredibile a dirsi sotto il sole giaguaro, ma, nemmeno fatti dieci chilometri, il pà aveva dovuto interrompere il viaggio dacché non ci si vedeva un cazzo, tant’aigua piombava giù dalla grigia volta: l’era stata veloce la buriana, ma grandio, se non c’eravamo cacati sotto. Ed ora si evaporava la cervice in un amen: metà viaggio verso le piagge isolane, vacation meritata, se si misura il merto col desiderio. Io allora non potevo ancora condurre il carro motorizzato come Fetonte… ma l’idea di girare il volante sapendo di trascinarti dietro un carrello tenda, non l’era cosa che m’aggradava, e neppure oggi. Troppo blu il cielo, troppa luce, troppi stronzi sulla via, verso due settimane da lucertole. Dall’altro lato della strada tapini come noi già riedevano verso il dovere, sotto lo stesso sole, attraverso la stessa aria densa: se una cosa s’ha da finire così in fretta, o perché mai principiarla? Riposo: beh, rientrando nella station, riposo non mi sembrava poi vero; certo io non guidavo, ma il culo mi s’accalorava, le gambe diventavano insensibili, le palle si schiacciavano e la testa pulsava: pà e mà la vedevan più serenamente, credo, ma a me, tutto ‘sto travaglio per pillole di tranquillità, mi pareva troppo. Forse perché non ci coglievo il sugo, forse perché già mi sapevo all’ombra dell’ombrellone a leggere King, forse perché ero già perduto: risalivo in macchina trattenendo il fiato.

Non lo so quali fossero le canzoni di quell’estate: i soliti jingle, le solite storielline facili facili… so che già allora non ascoltavo la musica… contemporanea; ci saranno state le fregnacce da disco, buone per schiappettare e sudacchiare nelle balere, poi le allarga cosce che avrebbero lasciato indietro il solito codazzo di cuori infranti e di feti un giorno tristi fanciulli non desiderati, o gettati nei cassonetti. Ho sempre guardato lungo le autostrade cercando di buscare i figli della noia, i lancia massi, oppure qualche botolo ramingo, lasciato indietro, giocattolo cresciuto con la pretesa di mangiare, cacare e voler bene alla creatura d’un dio mattacchione. Io non li ho mai visti, ma non occorre vedere per credere, talvolta, anche se Tommaso lo capisco. L’estate pigliava le promesse della primavera e le edulcorava: facevo fatica a non credere alle illusioni del solleone, della rena, delle onde, delle tedesche nude, dei canticchiavi sempre rararairarà. Il vostro re Tapino d’estate restava persino basito, ma avevo già ragione, tutta morte e degenerazione.

1 commento:

Anonimo ha detto...

'facendo fatica a non credere alle illusioni'.Siori e Siori eccolo qua: il cuore di Andrea.
E' nei finali che ti riveli.
Bisogna imparare a non temere le illusioni. Se si ha paura di illudersi si teme la vita. E' vero tutto è morte e degenerazione, ridicolo e miseria.Le illusioni nascondono questo scenario desolato, sono la scenografia. Siamo attori sul palco. Che senso ha guardare il fondale e bloccare lo show perchè è fatto di cartone?
un'attore convinto che la sedia su cui si siede sia la vera sedia del suo salotto è pazzo. Un attore che soffre perchè il cibo sul 'set' è fasulllo è assurdo.
Cerca di capirmi.
Potresti un giorno, così tanto per cambiare il giro dells giostra, smettere di sforzarti di non credere alle illusioni.
Potresti provare a crederci e la sciare che le illusioni ti portino in alto e ti sbattano poi inevitabilmente a terra.
Si imapra a far tutto, anche a cadere. c'è un tempo per illudersi e c'è un tempo per stare sconfitti sdraiati sul pavimento con la faccia schiacciata sul pavimento.
le vie di mezzo fanno schifo.