domenica 7 novembre 2010

sabato 30 ottobre 2010

domenica 24 ottobre 2010

martedì 28 settembre 2010

Pillole

Scendendo tra anse bitumate con scodate d’imperizia, [ATTENZIONE ATTRAVERSAMENTO UNGULATI] le ruote passano in paesi senza smania di palesarsi. Oltre il tornante filtra odore di lago e il ricordo d’una cima innevata sfuma come sogno all’alba della colazione. Si sentono i pensieri cercare il pertugio sotto la visiera per uscire e restar lì, in secondi di sonnolenza, in vagiti di evasioni, in rigurgiti d’indolenza.
E poi la galleria.

lunedì 27 settembre 2010

Pillole

Nel beccheggiare del legno non ancora malsano ma già incapace di solcare le onde, c’è il solingo nostromo sottocoperta, checché d’un vero comandante non s’è mai parlato, che osserva il disordine di carte pasticciate e strumenti dimenticati. Licenziati i marinai e ogni possibile dio, il legno non segue alcun disegno né rotte di stelle, bensì il Caso, vero ammiraglio, del resto, d’ogni vascello.

sabato 14 agosto 2010

lunedì 21 giugno 2010

giovedì 17 giugno 2010

mercoledì 28 aprile 2010

domenica 7 febbraio 2010

venerdì 29 gennaio 2010

martedì 26 gennaio 2010

sabato 16 gennaio 2010

martedì 12 gennaio 2010

L'Ultimo dell'an(n)o (frammenti)

Ci sono stati anni in cui l’ultimo giorno giungeva all’improvviso, quasi ladro dalla finestra a scuotere la presunta tranquillità famigliare. Si stava chi al lavoro, chi a scuola o all’università e poi si scopriva il pensiero convogliato all’unisono verso quel solito 31 di dicembre. L’altra festa, quella che fu del Sole Invitto, serviva da freno, appiglio, come per dire: -eh, beh, ma prima c’è Natale! E santo Stefano, pure, ma di quello importava granché a nessuno.
A risentire oggi i sogghigni d’intesa e il tintinnio delle bottiglie di spumante nelle borsine da supermercato, nelle mani dei nuovi minorenni, capisco, una volta di più, che non cambia mai niente; a parte i cellulari, quei casinisti imberbi che non stanno seduti giù in fondo alla corriera che mi riporta al paese, potremmo essere io e i miei coetanei, o mio padre e i suoi, o… più indietro negli anni, con fogge ed intercalare leggermente diversi, ma mica poi così tanto.
E l’Ultimo sfumerà via per loro come per noi, finché per qualcuno si rivelerà una infida bolla di sapone cui non credere più, nemmeno se attraverso ci vedi l’arcobaleno, nemmeno se è profumata: volteggiando in aria, seppur con grazia, finirà per esplodere.



La pistola compariva nelle mani dello zio come un trucco in quelle di un prestigiatore: sentivo il cuore accelerare, fenomeno tipico dell’accoppiamento tra pericolo e fascino. Ma era finta, una scacciacani: ma, in quel tempo di mia vita, una pistola era una pistola e il rumore, perbacco, era lo stesso. I petardi perdevano la loro attrattiva, pure i magnum e l’esercito dei raudi finiva per intristirsi nel suo sacchetto all’avvento del regno della berta nera: lo zio usciva sul poggiolo, seguito da suo figlio e da me, più indietro, timido all’inverosimile.
Ricordo, via naia, quando andammo a tirare la bomba a mano in Val Gallina ed, effettuato il mio lancio arcuato, sentita la ridicola esplosione, invece di fare la pantomima prevista, inginocchiandomi con le braccia sopra l’elmetto, casomai un qualche lapillo o scheggia fosse mai fuggita e piombata su di me, esclamai: -ma è meno di un raudo! Mi appiopparono una mini punizione; anche allora come adesso la mia mente era sul poggiolo con le mani sulle orecchie metre lo zio pumpummeggiava ridendo: forse il rimbombo causato dalla parete della casa: lo ricordo come un rumore forte, da lasciarmi un lieve fischio nella testa; non certo come gli attuali acufeni.


Salone sopra l’oratorio: grazie al geniale soffitto a capanna ha un’acustica in grado di rendere impossibile persino la visione di un film; ma è buono per ospitare mangiate e feste. Penso al pavimento unto e ai piattini di carta con poco spiedo e ancor meno polenta; allo spumante che eiacula intorno e a qualche risata. Non ricordo parole, discorsi; forse cercavo occhi di certo non visti.
In un altro Ultimo ci passammo così, in visita, belli brilli e sorridenti: non mi riesce di determinare dove avessimo mangiato. Camminammo qua e là per il paese, come sbandati muniti di qualche bottiglia, senza manco sentire il freddo. Ad un’altra festa anziana ci offrirono tartine e di nuovo da bere: poi le strade si sono separate e forse lo erano già allora; quando non distingui più gli anni, tutto sembra appiattirsi nel medesimo istante e il nulla di oggi si fa di sempre.

Fuori fioccava che pareva bambagia: non sentivamo il freddo giocando coi minuscoli carri armati in guerre di cartone colorato; il fuoco crepitava poco convinto della nostra attitudine ad aizzarlo: ma fingevamo di tollerarne l’insolenza. I dodici rintocchi e il rimbombo di schioppi e petardi mi colsero all’esterno, sotto la malcerta tettoia: d’un tratto pioveva e il bianco si macerava in fretta. Sputammo vodka sul fuoco saccente, incendiano la paccottiglia tutt’intorno: riuscimmo persino a riderne. Dov’erano allora tutte le lamie della mia giovinezza? E quelle attuali?


Passare l’Ultimo dove passavi le giornate e ingoiavi rospi e rane a profusione, ostentando incisivi e canini di tutto il resto dell’anno… dà il senso della catena corta, a limitare la libertà del botolo. Tavolo lungo di più tavoli, imbandito di vassoi spiedati e polenta; tramestio in cucina, brama di sentirsi speciali. S’infrangono le barriere dozzinali in ipocriti consensi festivi; cin cin allo stesso anno… del precedente. Si è già al domani, a raccontare l’un all’altro quel che ha detto fatto visto. Chi a sciare. E il salone si pulisce, ma non da sé.