domenica 27 gennaio 2008

progetto giambico

Sono un supplente. Da qualunque lato la si voglia guardare, la sostanza è che sono un supplente. Umile, timido ma costante, cosicché non pensiate sono uno scansafatiche; eppure semplice supplente che supplisce altri ben più importanti, ben più considerati, nobili d’età e di militanza, con le loro giacche eleganti, il passo sicuro, i completi grigio-blu, le borse in pelle, il parlar forbito e affettato, le stigmate della casta: che però, ogni tanto, vengono traditi dalla santa loro salute, si alzano con un lieve mal di capo, lo stomaco rigetta prelibatezze e leccornie del giorno precedente, la gamba scricchiola in palestra o nel footing, o la schiena, peggio ancora: e tocca loro pigliare il telefono e trillare alla segreteria sì da rendere certi gli impiegati della momentanea impossibilità di educare le masse zainate. Ma ci vuole il discipulo di Ippocrate e la sua certificazione pria di stabilire per quanti giorni il saggio e sapiente tapino non potrà recarsi ove spandere il pregno suo verbo. Da qui piglia l’abbrivio la sequela di chiamate, sì da rinvenire il disoccupato pronto all’uopo: e talvolta si gargarizza il mio cellulare e spande garrulo il suo canto, finché non lo piglio e pigio il tasto della risposta.

Resto sempre un poco attonito: dove starà ‘sta scola? Il primo pensiero mentre dall’altro capo favellano di orari: va bene, vengo nel pomeriggio, ma dov’è l’edifizio? Ho il pensiero dominante del rompimento di non saper rinvenire la giusta via, nell’intrico miserabondo di asfalti e rotonde e case e casermoni e monasteri: dite: -e il navigatore satellitare a neuropsicotroni? In Valletronfia? Segnerebbe la via della coca, che l’è più semplice anche da siderali distanze, siccome vedere la Muraglia cinese dalla Luna d’o pastore errante. Certo le scuole sbruffoneggiano nel paesaggio, con strutture anti-terremoto, ma prone ai pugni del teppistello col latte agli angoli della bucca: scale anti-incendio, piene di sigherette e fratel-cappuccini usati… oh, certo, dalla strada le vedi, sai sempre che l’è ‘na scola, vetrate, assonanza coi casermoni, consonanza cogli spedali, insomma, costruzioni di speculazione, imbastite in quattro e quattro otto, piglia la bustarella, mettila via, che la vale la bocca vogliosa dell’ucraina del night. Pochi mesi ors ono giungevo alla scola media del mì paess, intabarrato e addormentato: d’un tratto un tizio, o caio, sporge la cabezza dal finestrino della sua carrozza e mi fa: -dov’è la scuola media? Io lo guardo sbalordito: ecchè me pija pe’ culo? Alzo i lumi e gli ribatto: -è questa qui. E cenno al grigiore accanto a noi. –Ah, scusa, pensavo fosse una fabbrica. Del resto… grigia, aborto di architetto cagacazzi patentato, serie di parallelepipedi giustapposti e perzino ‘n tunnel rosso, tipoberetta, p’annà alla palestra: già ai miei tempi la sforacchiavano a pugni, e di terremoti n’ha visto uno, ma picciolo, sì da non saperne la buntade: sta in piedi, bastasse quello. Beh, insomma, me perdo dietro alle fantasie invereconde della mente: le scuole le trovi sempre nei paesi, pensi: dov’è la bruttura, lì spargono il bianco seme vincastro della cultura.

venerdì 25 gennaio 2008

s.t.

Vedo i primi sparuti zaini

raggrumarsi in crocchi via via

più corposi: tra il brilucicchìo di paine

e i primi trilli (: c’è già da circolare!).

Lucia imbellettata attende Renzo

Impomatato seppur il vento dalle valle

Non si usmi colle brache a vita bassa.

Mai lasso è l’amore e il bascio tra

Labbra e nicotina e le dita smaltate

Intrecciano trame d’eterno voto.

(Arrivavo anch’io un poco presto,

silente dalla bestia blu zampettavo

sotto il Garibaldi a cavallo e giungevo

al guado: speravo in calde faville, non pensavo

congiungimenti di tabarri, non osavo!)

Riconosco i segni dell’antica sfiga

nei lumi verso la polvere, nei purulenti

foruncoli, nelle cuffiette isolanti e cacofoniche,

nel ciabattare frettoloso ignorante d’altrui felicità,

presunta.

(Dici, mamma: lassù fan le orge?

Le lolite troppo grandi le ricordo

ma allora eran… le passere.

Che oggi le dico bimbe rattenenti

sederi e seni in fasci di cotone

genovese aborigeno, cinese manufatto.

M’è curioso pensarle foiose

… e mi sfugge un sorriso)