lunedì 30 luglio 2007

Ipotesi

Se n’era ito: il granne prinzipe dei pannoloni per cariatidi, poi re, rendendo grazie a fiumi di piscio di sorore in menopausa, ricco il dorato effluvio d’una sustantia atta a render fertile l’arido ventre di povere damine borghesi sive proletarie; infine caudillo di retro al voto in gabbiette di lamiera messe su in quattroequattrotto da zelanti emissari del Bene presunto dentro scuole, ospedali e casermoni. Ei fu, ciononostante il battage pubblicitario che c’intortiva colla storia della sua certa immortalitade, del petto suo diamantino, del seme suo vincastro. Se n’era ito con granne funerale sparato in diretta reti unificate e ripetuto quarantadue volte dopo ogne tiggì sempre poco prima di Biutiful. E siccome già si preventivava negli ambienti alti, in palazzi bianchi di coca e privi di aroma di sudore dato il poco sgobbo solito, fatta esclusione per il viejo vàevieni di biblica memoria, consumato e circostanziato su tavoli di cedro del Libano, ovvero nei cessi marmorei con lapislazzuli e striature di platino, ché l’aurum l’era poco disponibile… , dico, già si favellaa che la di lui prole nun la sarebbe ita innanzi collo scavo, anzi, le botti richiuse dal ducetto con mille chiavi, laggiù nelle segrete fredde e medievali del sù palazzotto, le sarebbero state deflorate presto, presto, e il vino prezioso altro che pavimenti arebbe tinto di ross’aroma e perdizione. Inzomma, dicea la Giola, tutt’annaa a farse fotter in un battibaleno. Ora: lo popolo basso della nostra terra natale, sempre propenso l’era a saltar di carro in carro purché lo fosse vincitore: se li ricordan ancora i pochi superstiti quei due tre istanti in cui, morto il Fava del Ventennio, tutti li neri cangiaron in bianca veste, urlando: el disiee mé! Quinni tutti li azzurri, volato il loro gran pecorone lassù, tra il terzo e il quarto cielo, attendevan novelle: e pure li altri, che di tante idee non prillavano, sennon di rabberciati e raffazzonati concetti da comizio rubicondo, perzino loro, fuito il granne avversario, più non sapean contra chi inveire, o chi mai accusare per lo portafoglio loro, minacciato d’esiguità; e pure per l’esofago, l’intestino, e le democratiche cagate a cui ci si attaccava per dimostrare che mai l’era stata dittatura: ché se il male nun lo nomini nun c’è. Se n’era ito: e due tre bighellonauti già si domandavan tra loro, in intimi ritrovi da massoni della Bellezza non ancora stuprata, chi, quando e come ce l’arebbe fatto rimpiangere. Dato che lo mos maiorum ci funestava il gulliver da anni e anneti, e pineti, e querceti: lo sapevam bene che siccome venne il tempo che rimpianzer ci fece la balena bianca, la voce di Liocoen e le natiche di Zara, mai bastevolmente cantate dai caconcellos nostri, che invece ne mertaan di dimetri giambici scazonti ed esametri d’epica cavalcata, quei splendidi clivi diafani, ove la mente perdea il senno e giocondo il Priapo s’ergea rubinazzo e rodomonte; ah, altri tempi, altri orgasmi! Dico: lo sapevam bene ch’aremmo preferito il gran tappo: ma di fronte a chi? Quando? Come? Fu ai primi comizi che prinzipiai a isperar vedere lo cielo ben prima del tempo destinatomi dalla Tyche perversa: già il popolo giovine e potenziale brandiva nuovi manganelli e nuove camicie e lassù sur palco, microfono di sbieco nella destra, berrettazzo nero, seppur ci fossero trenta gradi, calato sui lumi, catenacci aurei, anellazzi diamantati, panza da vermo grandissima… anfibi corvini slacciati e finto logori… il nuovo granne Rapper rappeggiava ‘o sù programma elettorale, svincolando tra il dover fare, il farò, e tutti li ricchi del vecchio regime la pagheran cara, perché noi semo il novo ch’avanza! Ahinoi! Che il Vello d’oro c’aiuti.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Quante parole ti ha ispirato il Cavaliere... perché è di lui che stai parlando, vero?