venerdì 22 febbraio 2008

Turibio(2)

Ei stette, siccome immobile, rischiando di dare il mortal respiro: con quella cartolina in mano raggelò eppure, brancolando come un ubriaco, gli parve d’esser come colui che da sottacqua volge il volto alla superficie, muove le mani e s’approssima al vetro distorto e gli pare che il cielo ondeggi e le nubi si confondono con le onde morbide; poi, certo di sbattere la testa e più non rivedere le stelle, stantuffa colle gambe e un ultimo sforzo lo proietta fuori, lasciando improvvisamente libera la bocca di spalancarsi, di sentire il sale marino, di ingurgitare un ultimo sorso: ma il sole biondo è di nuovo lì, i polmoni riprendono fieri l’usato ritmo, il panico scema… e nel trapasso dall’opprimente necessità di respirare alla quieta normalità, gli pare d’aver intravisto la vita. in sé, il senso ultimo del brancicare quotidiano, il succo polposo ascoso all’inanità dozzinale. Nel breve volgere d’attimi, a Turibio era parso di sentirsi per la prima volta vivo; quella cartolina indicava un improvviso pericolo, la frattura nelle cose, la smagliatura ove lancinante filtra inusitata luce; immantinente il pensiero di mammà da render certa del fatto l’avea terrorizzato: sicure lagrime come da fonte, singulti aritmici, gridii isterici, probabili svenimenti o simulati: l’ascosa bravata ora diveniva nota, il nodo giugneva al pettine della sorte, non si potea oramai più fingere. Pochi anni pria, il Navicella avea informato la genitrice del suo istato di –riformato- alla leva, alla visita vojo ddì. Invece, seppur di terza, l’era dichiarato arruolabile, ed infatti ora la Patria bussava alla sua porta ed esigea in tributo, l’annona, i dodici mesi, la naja, ‘l servizio militare. Non se potea rinvià, tempo un mese, maledette ragnatele burocratiche, solo trenta giorni di libertà ancora, e si partiva per località dolomitica. Si trattava ora di passare sul corpo della mammina, più che di affrontare le paure personali.

La sciura Mari s’era occupata diligentemente dell’educazione del sù fijolo: seconno la sò prospettiva, s’intende, mica la mia o la vostra, guaglioni! Ciascheduna mater ce se mette de buzzo bono nell’edificare il pupo suo, sì vuole la Natura; quanno arriva lo svezzamento, però, la si dimentica d’osservà li prinzipi naturali, appunto, e il pargolo resta tale, cioè remane il mì fiöl insino ai quaranta e chiù anni. Il mastio, il pater familias, ha da pensà al laurà, ai dindi, agli sghei, alle rate, al frigor, alla televisiù, a’machina, alle tasse… e a qualche inseminata bianca tra le lenzuola sfatte, o anche no, se ne pode fare pur ammeno, de chillo, ma non dei zordi. Il capo Navicella se ne sbattea li cojons dei prinzipi edducativi dda donna sua, preso dal lavoro, dalla calvizie, dalla incipiente panzetta, dalle cosce a pagamento delle slave iovini e callipigie: in più, quer moccioso succhia moccio, je parea smidollato, rinseghito, quinni portasse pure la tonachina dda preticello a dec’anni, o andasse a postulà offerte pp’a parrocchia, che gliene sbattea a lui? Purchè non lo rinvenisse un dì a pijarlo en’kul, o a vestirse siccome li ffrichetton, allora sì che illo pater arebbe mostrato le zanne e il bastone nodoso ben arebbe carezzato il groppone dello scostumato degenere, oh, allora sì che j’arebbe mostrato la retta via, altro che retto libero. Quindi il Turibio imparò l’abbiccì sul breviario e le preghiere iniziaron a sfarfallargli nella testa, e tra misererenostridomine e avemmariagraziaplena non distingueva un senso, eppure je gustaa el ritmo, il dindondio del latinorum siccome formule magiche, come misterioso gli parea semper quel sangre mutato in mareotico, chillo pane in corpora, ma quel che lo sconcertaa era quel sole retto nelle mani dell’amico della madre, così gloriosamente esposto al guardo del popolino, tanto glorioso che il parvulo Turibio arebbe giurato di vederce sfavillà ‘o raggio laser della bontà divina, come arebbe messo la mano sur foco per santa Lucia portatrice di presenti e macchinine elettriche. A sei anni entrò nel corpo dei chierchetti, come vice-aiuto-candelabro, scalando ratto, in virtù d’alta protessiù, inzino a Destro all’altare ufficiale, e Turibolo perpetuo.

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